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Emilie du Châtelet

 
 
Émilie du Châtelet (1706-1749)

 

Gabrielle Émilie Le Tonnelier de Breteuil, marchesa du Châtelet, (Parigi17 dicembre 1706 – Lunéville10 settembre 1749) è stata una matematicafisica e letterata francese. È considerata uno dei più grandi ingegni del XVIII secolo. Contribuì alla divulgazione e allo sviluppo delle teorie di Leibniz e di Newton, di cui tradusse in francese i Principia.

Nata in una famiglia di elevatissimo ceto sociale (il padre aveva incarichi di grande prestigio alla corte del Re Sole, Luigi XIV), fu stimolata a sviluppare interessi sia linguistici che scientifici, all’epoca riservati esclusivamente ai rampolli di sesso maschile delle grandi famiglie. La serietà degli studi non le impediva di condurre una vita brillante, talvolta frivola, intessuta di occasioni mondane che divennero sempre più frequenti dalla data della sua presentazione a corte, avvenuta all’età di sedici anni. Particolarmente versata nelle lingue (conosceva latino, greco e tedesco), si interessava anche alla musica, al teatro, alla danza. Seppure nel Settecento le donne fossero escluse da una formazione di livello superiore, oggi diremmo universitario, Émilie du Châtelet, ciononostante si costruì, durante il corso della vita, una preparazione di altissimo livello, in parte come autodidatta, in parte facendo ricorso agli insegnamenti privati ed ebbe confronti  dialettici  con alcune tra le più grandi menti scientifiche dell’epoca come BernoulliBuf-fonClairautEulero.

Il 12 giugno 1725, diciannovenne, sposò il marchese Florent Claude du Châtelet all’epoca trentenne. Il matrimonio rispondeva più a criteri di censo che a motivi sentimentali, i due ebbero infatti tre figli, ma il marchese, impegnato nella carriera militare, incontrava la moglie assai di rado. Ed il legame matrimoniale non impedì mai a lei di vivere una vita sentimentale assai libera: ebbe due relazioni importanti, con il marchese di Guébriant e con il duca di Richelieu.

Ma il rapporto sentimentale più duraturo della sua vita fu quello con Voltaire (Francois-Marie Arouret, 1694-1778). Il sodalizio culturale e sentimentale tra i due iniziò nel 1733: lui era già, a 39 anni, all’apice del successo, lei, a 28 anni, conduceva la vita dorata di una rappresentante della classe più agiata e influente. Lo splendido castello di Breteuil testimonia ancor oggi il livello di vita dei membri della famiglia a cui la marchesa apparteneva. Nel maggio del 1734 essendo Voltaire caduto in disgrazia presso il re, a causa di suoi scritti inneggianti alle libertà di cui fruiva il popolo inglese, la coppia si stabilì nel castello di Cirey, a Cirey-sur-Blaise nell’Alta Marna, di proprietà del marito della marchesa, non nascondendo la relazione, anzi facendone mostra senza curarsi minimamente dell’opinione altrui.

                                                                                        

La dimora di Emile necessitava di notevoli opere di restauro e così Voltaire stipulò un accordo con il proprietario in base al quale avrebbe prestato a quest’ultimo, a un interesse assai conveniente, la somma di 40.000 franchi, somma con la quale sarebbe stato possibile realizzare i lavori necessari. Il castello fu riadattato per poter ospitare il gran numero di visitatori che la fama intellettuale della coppia attirava. La biblioteca arrivò a contare ben 21.000 titoli, cioè più o meno il livello di un’istituzione universitaria del tempo.

Stimolata da Voltaire ad approfondire sempre più la tematica scientifica, Châtelet pubblicò nel 1737 gli Elementi della filosofia di Newton. L’opera reca nella prefazione il nome di Voltaire come coautore, ma non è dubbio che l’apporto teorico determinante fu della Châtelet. Lo scopo era consentire a un pubblico più vasto, anche non dotato di un livello estremo di conoscenze scientifiche, di avvicinare l’opera dello scienziato inglese. Nel 1740 diede alle stampe Istituzioni di fisica, un’esposizione delle teorie del filosofo Leibniz. Negli anni successivi portò avanti il progetto della pubblicazione dell’opera di Newton Principia matematica, tradotta in francese dal latino piuttosto ostico dell’autore, e con l’aggiunta di una sezione dedicata agli sviluppi che le teorie newtoniane avevano visto ad opera degli scienziati francesi. L’opera uscì postuma nel 1759, e la pubblicazione fu seguita da Voltaire che la considerò un debito d’affetto nei confronti della donna che forse gli era stata intellettualmente più affine.

Nel 1746, presa da un’improvvisa passione per il poeta Saint Lambert, abbandonò Voltaire e si dedicò, con ogni mezzo, a legare a sé l’amante, di dieci anni più giovane. Sembra che Saint-Lambert non fosse particolarmente attratto da Châtelet, ma che abbia agito solo per un capriccio e per ingelosire la sua precedente amante, Madame de Boufflers, che lo aveva abbandonato. La relazione si risolse tragicamente perché la Châtelet affrontò una gravidanza ad un’età, quarant’anni, che, all’epoca, costituiva un rischio notevole per la donna: diede alla luce una bambina che morì subito dopo la nascita e lei stessa morì sei giorni dopo, assistita negli ultimi momenti da Voltaire, col quale era rimasta in ottimi rapporti, e da Saint-Lambert.

Nel 1749, poco dopo la morte di Émilie, Voltaire scrive a un’amica: Je n’ai pas perdu une maîtresse mais la moitié de moi-même. Un esprit pour lequel le mien semblait avoir été fait. (Non ho perduto un’amante ma la metà di me stesso. Un’anima per la quale sembrava fatta la mia).

NOTE

  1. ^ Illuminante al riguardo un passo delle Memorie del Cardinale de Bernis il quale osserva «…non vorrei far credere ai posteri che la marchesa du Châtelet, che commentava Newton e Leibniz, e che Voltaire tanto ammirava, fosse un personaggio austero e compassato; l’ho vista perdere ore intere a discutere sulle modifiche da apportare a un certo abito e a spostare qua e là una miriade di statuette di porcellana di cui il suo appartamento era pieno» (Cardinale de Bernis, Memorie cit. in bibl. pag.77).
  2. ^ Zinsser, Mentors, the marquise Du Châtelet and historical memory, in Notes & Records of the Royal Society, vol. 61, n. 2, pp. 89-108.

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